mercoledì 10 giugno 2015

La psiche arcaica


In un qualunque mattino maggese, al bar della Zelmira nel paese dei pappagalli, si discuteva, come sempre, del più e del meno. 
Un pappagallo diceva "più" e i suoi seguaci pappagalli lo applaudivano e ripetevano "più". 
Un altro pappagallo diceva "meno" e i suoi seguaci pappagalli lo acclamavano e ripetevano "meno".
Più e meno erano argomenti di scarsa rilevanza, gossip pappagallese che non cambiava la vita a nessuno e di conseguenza le discussioni erano perlopiù canzonatorie e nessuno si faceva male.
La popolazione passava la giornata in questo modo, dopo che la grande crisi aveva tolto loro il posto fisso sul posatoio.
Più o meno.

Verso le dodici e trentatré di quel qualunque mattino entrò nel bar uno sconosciuto. I pappagallesi, poco aperti ai cambiamenti di abitudini, lo guardarono e si guardarono. Mostrando diffidenza.
Un tempo lo sconosciuto in questione era stato un pappagallese, ma non aveva mai frequentato il bar della Zelmira. Divenuto maggiorenne, era partito per conoscere il mondo, trasformandosi, appunto, in sconosciuto. 
Aveva fotografato la fame, la guerra, la terra.
Era parecchio diverso da loro e lo confermò ordinando un carcadè. 
La Zelmira non faceva un carcadè da tempi immemorabili e si mise tutta in agitazione per quella richiesta anomala che le scompensava le sue certezze di barista della tradizione.
Visibilmente infastidita preparò il carcadè e lo appoggiò sul bancone senza neppure alzare lo sguardo.
Lo sconosciuto non se ne preoccupò granché e finito il carcadè si girò verso i pappagallesi e con le più buone intenzioni cominciò a raccontare la sua storia e la sua idea di soluzione. Nel bel mezzo del racconto disse "per". 

"Per" era un argomento delicato. I pappagallesi dimenticarono tutte le altre parole e focalizzarono solo quella. "Per" era qualcosa che non comprendevano e che non sapevano affrontare e per un momento interminabile rimasero in silenzio, sbalorditi e preoccupati, sperando che i loro  pappaleaders prendessero una posizione e facessero un'esternazione che avrebbero, ovviamente, ripetuto.
Ma non avvenne.
Solo lo sconosciuto, mortificato dopo aver intuito di aver pronunciato una parola che i pappagallesi non comprendevano, aprì di nuovo bocca per spiegarsi e mentre parlava fece un altro errore: affermò un sonoro "diviso". 
E avvenne l'imprevedibile.

Al solo sentire quella parola i pappagallesi vennero presi da incontenibile turbamento ed iniziarono a sbattere i becchi.
I pappaleaders divennero tutti gonfi e rossi e cominciarono a pronunciare frasi concitate che nulla sapevano dire e queste frasi erano mescolate ad offese, a sberleffi, a spintoni. Tuttì i pappagallesi ripetevano, ovviamente, le frasi, le offese, gli sberleffi. E purtroppo anche gli spintoni.
Lo sconosciuto si ritrovò in balia di un branco di scimpanzé (dal cervello con la saracinesca chiusa) che lo assalirono senza neppure dargli il tempo di difendersi.

Venti secondi. 
Bastarono.
Il tempo di un carcadè, di un "per" e di un "diviso", e la psiche arcaica aveva preso il sopravvento.
Lo sconosciuto cercò di difendersi in ogni modo ma nulla poteva contro quell'orda primitiva che aveva scambiato un "diviso" per una minaccia alla propria sopravvivenza.

Venti secondi.
La psiche arcaica. 
La paura. 
La diffidenza. 
La sopravvivenza. 
La difesa del territorio, del proprio pezzetto di caverna, della propria convinzione, della propria verità assoluta, del proprio piccolo posto nel mondo, della propria preda. 

Lo sconosciuto, malconcio, venne sbattuto fuori dal marito della Zelmira. 
I pappagallesi, orgogliosi della loro azione che ritenevano sintomo di autenticità e passione si gonfiarono di nulla. Ma dentro sentivano muovere qualcosa. Malessere che era incomprensibile per loro.
Era la miscela di paura, di ego, di diffidenza che aveva provocato in loro l'esplosione: il rabbismo.
Un rabbismo inutile e dilagante che contagiava chi era convinto di lottare per la sopravvivenza, anche se non era in pericolo di vita.
Uscirono dal bar e ognuno prese la sua strada. Si sentirono tutti molto soli.e si sentirono tutti molto stanchi, le energie erano state gettate in quel baccano senza senso e buon senso. 
Energie sprecate che avrebbero potuto utilizzare per fare altro. Ad esempio per vivere. O trovare soluzioni.
Qualcuno a casa ripensò a quelle parole. Per e diviso. E le trovò sul dizionario dei sinonimi e dei contrari.

Anche lo sconosciuto prese la sua strada.
E anche lo sconosciuto si senti solo, stanco e svuotato.
Anche lui aveva dovuto sprecare le sue energie per difendersi dai pappagallesi e pensò che mai più avrebbe provato a parlare di "per" e "diviso" con degli sconosciuti.
Pensò che quello che era accaduto poteva avere un senso quando e dove la lotta per la sopravvivenza era reale e quotidiana, quando non si conoscevano le parole per spiegare e risolvere, quando non esistevano eventuali soluzioni, quando non esisteva comprensione.
Ora e qui, tutto questo era solo un fallimento dell'evoluzione. Forse inevitabile. Aveva vinto la paura. Sentì salire comprensione per i pappagallesi, ma l'amarezza per quelle energie buttate al vento del non senso non lo abbandonò..
Energie consumate.
Energie che servirebbero alla vita, alla cura. Che dovrebbero essere spese per guarire dai malanni, per superare gli incidenti di percorso, per lavorare, per lottare, per resistere, per crescere cuccioli, per le calamità naturali, per le avventure, i viaggi, le passioni, le sfide. O per dedicarle ad amare.
E pensò che era un vero peccato essere costretti ad usarle per proteggersi il cuore dai propri simili. 
Ma questa è un'altra storia.







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